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Lo vedremo in “Galilea”

Nella festa dell’Ascensione la liturgia propone gli ultimi versetti del Vangelo di Matteo.
Scelta apparentemente strana perché in essi non troviamo riferimenti espliciti all’assunzione di Gesù in cielo.

E allora, perché non proclamare altri testi evangelici più diretti?
Molto probabilmente perché nella narrazione di Matteo, anche se non si racconta l’evento dell’ascensione, si fa chiaro riferimento alle sue conseguenze: la fine del percorso storico di Gesù coincide con l’inizio del suo cammino terreno nella Chiesa.

Matteo ricorda che “gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono“.

Innanzitutto parla di discepoli, parola legata a “discente”, cioè a chi si pone in atteggiamento di apprendere, capire, crescere e migliorare.

I discepoli sono attesi in Galilea, che nel Vangelo di Matteo indica il luogo della vita quotidiana e profuma di casa, famiglia, sudore del lavoro, fatica delle relazioni, groviglio di affetti, bellezza del vivere.

Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno” (Mt, 28, 10) aveva detto poco prima Gesù.

In quel “Galilea” potremmo leggere il nome della nostra città, vedere i viottoli del nostro quartiere, scorgere gli intrighi del nostro palazzo, sentire i rumori del luogo di lavoro, avvertire l’eco festosa dei ragazzi che riempie i punti di ritrovo e svago, percepire la voce soffusa delle nostre confidenze e il grido di dolore delle nostre sofferenze.

Ecco, dunque, come e dove ogni uomo, di ogni tempo, potrà incontrare il Cristo, dal momento dell’ascensione fino alla fine della storia: facendosi discepolo; rimanendo in atteggiamento di continua crescita; pronto a correggere vedute e convinzioni secondo il pensiero di Dio; facendosi ammaestrare quotidianamente dalla parola del Vangelo.
E lo incontra nella quotidianità della vita, nelle fatiche di ogni giorno, nell’incontro con la differenza dell’altro.

Non basta, però, andare in “Galilea” per fare esperienza del Risorto, occorre salire sul monte da lui indicato.
In Matteo quando si parla di monte ci si riferisce a quello delle Beatitudini, che sono la via della felicità donata da Dio a chi si sforza di rendere felici gli altri.

Il Signore lo si incontra quando, nella Galilea della nostra quotidianità diventiamo costruttori di pace e gioia nell’amore.

Don Michele Fontana