Nella festa di “Cristo Re”, il Vangelo propone una parte del processo di Gesù davanti a Pilato.
Gli accusatori non entrano nel pretorio (luogo “romano”) per evitare di contrarre l’impurità e quindi rischiare di non celebrare la Pasqua.
Il prefetto è, così, costretto a un continuo andirivieni tra l’esterno, dove stanno i sacerdoti e la folla, e l’interno, dove si trova Gesù: esce quattro volte e rientra tre; non c’è dialogo diretto fra accusatori e accusato, ma solo fra i Giudei e Pilato, e tra questi è Gesù.
Nel brano che ascolteremo oggi, viene riportato il dialogo tra il prefetto della Giudea e il maestro di Nazareth.
Rispondendo alle sollecitazioni di Pilato, per tre volte Gesù parla del suo regno, e per due volte si preoccupa di chiarire che questo regno è fuori dagli schemi umani: «Il mio regno non è di questo mondo», «il mio regno non è di quaggiù».
Gesù afferma, quindi, che il suo regno, già presente fra gli uomini, non segue i valori, le leggi e le modalità dei regni terreni. La sua regalità non ha niente in comune con la logica del potere umano.
«Io sono re: per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità».
Il testo greco si potrebbe tradurre con «Sono venuto nel mondo per essere martire della verità».
La regalità di Gesù, quindi, è il suo martirio per la verità, termine che nel linguaggio giovanneo indica il disegno di Dio sull’uomo, il Vangelo che Gesù a sua volta racchiude nell’amore.
La regalità di Gesù è dunque il suo martirio d’amore.
Per amore del Padre e di ogni uomo.
Questo è il nostro re!
Questo è il Signore che oggi festeggiamo: un re che ci ama fino al martirio; un re che non ci considera sudditi ma ci chiama a regnare insieme a lui… a essere martiri d’amore.
Don Michele Fontana