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Il buon pastore

La quarta domenica di Pasqua ogni anno presenta un brano del decimo capitolo del Vangelo secondo Giovanni in cui Gesù utilizza per se l’allegoria del buon pastore.

Un’immagine nota alla gente dell’epoca, dovuta anche al fatto che la maggior parte del territorio insisteva su un altipiano aspro e sassoso, più adatto alla pastorizia che all’agricoltura. L’erba era scarsa e il gregge doveva spostarsi continuamente; non c’erano muri di protezione e questo richiedeva la costante presenza del pastore in mezzo al gregge.

Già nell’antico Testamento Dio stesso è più volte presentato come pastore. Tutti ricordiamo, ad esempio, i Salmi in cui si recita: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla ” (Sal 23,1); ed anche “Egli è il nostro Dio e noi il popolo che egli pasce” (Sal 95,7).

Il profeta Isaia estende questa similitudine al Cristo: “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40,11).

Non è,  quindi, un caso che gli evangelisti interpretino la missione di Gesù anche mediante quest’allegoria: lui è il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita; si impietosisce del popolo perché lo vede “come pecore senza pastore” (Mt 9,36); chiama i suoi discepoli “il piccolo gregge” (Lc 12, 32). Pietro lo definisce “pastore delle nostre anime” (1 Pt 2, 25) e la Lettera agli Ebrei “grande pastore delle pecore” (Eb 13,20).

La domanda che questa domenica porge a ciascuno di noi, in modo diretto o indiretto, è dunque la seguente: Da chi facciamo condurre la nostra vita? Chi sono i nostri pastori?

Sac. Michele Fontana