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Fariseo o pubblicano

Nel capitolo 18, Luca presenta alcune parabole che intendono aiutare alla preghiera.
Nella prima (della vedova e del giudice disonesto), proposta dalla Liturgia domenica scorsa, Gesù risponde alla domanda: “Quanto dobbiamo pregare?”. E lo fa chiedendo di pregare sempre, senza mai stancarsi.
Nella seconda risponde alla domanda: “Come pregare?”, attraverso un racconto che mette in relazione due persone nel tempio: un pubblicano e un fariseo.
Questi due nella società dell’epoca rappresentavano gli antipodi della santità: i farisei erano infatti ritenuti santi, grazie a una vita fatta di precetti e regole difficili da seguire; i pubblicani, invece, erano dichiarati pubblici peccatori, alla stregua delle prostitute.
Nella parabola, straordinariamente, Gesù inverte il giudizio: alla fine delle preghiere colui che è considerato giusto torna a casa senza giustificazione, e colui che è considerato peccatore torna a casa senza peccato.
Cosa ha fatto cambiare il giudizio? Il modo di pregare.
Il fariseo diventa esempio di preghiera errata. “Prega tra se”. Quest’affermazione può avere una varietà di significati.
Innanzitutto indica che prega “dentro la sua mente”, da solo, senza nemmeno considerare Dio, il quale viene citato, ma per vantarsi delle proprie capacità e dei propri sacrifici.
Spesso anche noi preghiamo “tra di noi”, cioè la nostra preghiera non si apre a Dio per chiedere luce e forza, ma è un fluire di parole che servono solo a giustificare i nostri peccati o esaltare le nostre gesta.
Quel “tra se”, inoltre,  può significare “solo nella preghiera”, cioè distante dagli altri. Una distanza fisica e spirituale, rappresentata dalle parole di condanna nei confronti degli altri. Ecco l’altro errore che possiamo fare quando preghiamo: essere lontani dagli altri, dai loro problemi, dai loro bisogni, e soprattutto giudicarli e criticarli. Lontani dagli altri, siamo lontani anche da Dio, e la nostra preghiera non gli giunge.
Il pubblicano, invece, rappresenta come bisogna pregare (anche lui attraverso la postura del corpo e le parole che dice). Si ferma a distanza, non osa alzare gli occhi, si batte il petto: sono gesti che indicano umiliazione; non dice molte parole, soltanto chiede pietà riconoscendosi peccatore.
Così Gesù insegna che la vera preghiera non è fatta di tante parole, ma di colloquio diretto con il Signore, davanti al quale riconoscersi peccatori.
Nella preghiera, chi si svuota viene riempito da Dio.

Don Michele Fontana